Jung la sapeva lunga

Jung la sapeva lunga

Jung la sapeva lunga sul cambiamento e sulle asperità della vita.
Lui affermava che “Ciò a cui opponi resistenza persiste. Ciò che accetti può essere cambiato” .
Il suo credo era che noi non siamo altro che un concentrato di concetti (complessi), tra i quali quello di “Io”, che governa la coscienza rimanendo in relazione con tutti gli altri. Quando questo legame con l’IO si fa debole o si rompe, gli altri complessi si fanno autonomi e si entra in uno stato di disagio.
Ok..E sti cazzi?
Cosa mi serve conoscere tutto sto popò di roba per stare meglio nella mia vita quotidiana?
Semplicemente per cominciare ad avere la forza di ammettere, almeno a me stesso, la verità.
E la verità è che, a volte, perdiamo il nostro IO e parte il caos.
Ti faccio un esempio che riguarda un classico della letteratura che sto leggendo proprio in questo periodo.
Nel libro “Grandi Speranze” di Dickens, Miss Havisham è una vecchia signora che, decenni prima, è stata abbandonata sull’altare.
Vive in una casa ridotta alla decadenza più incredibile; le grandi stanze sono ancora decorate per il matrimonio e, il banchetto nuziale, imputridisce da anni sulla tavola.
Lei indossa ancora il vestito da sposa, logoro e sporco.
Cos’ha in comune con me o con te, mi dirai, questa “matta”?
Ok, vedila come una metafora.
Il vestito nuziale e il banchetto corrotto, sono le nostre abitudini nel continuare a “perdere tempo” o a perseguire obiettivi che non ci rendono felici, per il semplice fatto che ci appaiano più facili o meno dolorosi.
Come quando ci abituiamo ad un lavoro che detestiamo perchè ci garantisce lo stipendio, una volta al mese.
Quando rimaniamo con una persona che non ci fa stare bene, per la paura di rimanere da soli.
Quando ignoriamo alcuni nostri atteggiamenti sbagliati che allontanano le persone che ci circondano.
Quando non ammettiamo di essere innamorati.
Quando non ammettiamo di NON essere innamorati.
Quando non ammettiamo di essere stati feriti.
“Ciò a cui resistiamo, persiste” diceva il nostro amico Jung ed aveva ragione.
Miss Havisham doveva arrabbiarsi, strapparsi il vestito nuziale di dosso, battere i piedi, alzare dita medie a go go, piangere, urlare, rompere piatti.
Doveva ammettere che era stata lasciata, che qualcuno di cui si fidava, l’aveva ferita.
Allora avrebbe passato un gran bel “periodo di Emme” ma dopo, smaltito il lutto, sarebbe ritornata pronta per la vita.
Parlo con te, sì proprio con te.
Apri gli occhi, ammetti la verità e chiudi questo ciclo della tua esistenza.
Cambia strada, non stare lì fermo ad aspettare che qualcosa o qualcuno decida per te.
Ciò che è tuo di diritto, arriverà anche se ricominci a camminare anzi, soprattutto se ricominci a camminare.
Vedrai che, passo dopo passo, nella giusta direzione, ricomincerai a sentirti forte e confidente, malgrado il partire ti sia costato una grande fatica iniziale.
Dicono che quando si chiude una porta si apra un portone.
Io non so se sia realmente così.
Ciò che so è che gli spazi angusti non mi sono mai piaciuti.
Le prigioni, soprattutto quelle create da me stessa quando mi ignoro, mi fanno terrore; mi sento soffocare.
Quindi, piuttosto che piangere la porta chiusa di una casa che ti sta sempre più stretta, prendi una sedia, abbatti la finestra ed esci a respirare.
Ricordati sempre la cosa fondamentale: la tua casa, quella vera, sei tu.

2 commenti
  1. eliana
    eliana says:

    scusa, non so che cosa sia un sito web.

    Grazie 1000 per quanto hai scritto che è utile. per quanto riguarda me ( megalomane…) mi dicono che sono essenziale.

    Ciao e grazie

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