Un iceberg

Le parole sommerse

Le parole sommerse sono quelle che non ti ho mai detto.
Quasi come fossi il direttore di una banca strozzina che lesinava su ogni sillaba che usciva dal cuore e mangiava vorace tutto ciò che, per anni, sei stata disposta a farmi cannibalizzare.
Ma tutte le parole che non ti ho mai fatto ascoltare sono così tante che ora che non ci sei più mi premono dentro come fossero il ripieno di un sacco di Juta, così teso, da logorarsi di colpo se non lo riesco a svuotare.
Non so neanche perché abbia deciso di trattenerle tutte a me, di non pronunciarle mai per te, così assetata di sentire, di capire, di vedere ciò che io non ero disposto a mostrare.
Sono stato un iceberg con la punta lucidata da interminabili controlli verbali mentre, nelle profondità nascoste del mio sentire, una massa di parole sommerse ribolliva con la forza di chi aspetta il tempo giusto per potersene liberare.
È che sono il tipo che da piccolo vinceva sempre al gioco del silenzio e mia nonna mi diceva che “quando non hai niente di sensato da dire è molto meglio tacere”.
Così ho taciuto tutto, tanto, troppo di ciò che era per me superfluo da dire.
Ho taciuto sul fatto che fossi bella mentre battevi i piedi per le torte bruciate della domenica mattina.
Ho taciuto la mia gratitudine per i fine settimana in cui sei rimasta a casa con me malato, piuttosto che andare al mare da tua madre.
Non ti ho detto che non era vero che detestavo tutti gli intrugli alle erbe che mi facevi ingurgitare e che adoravo l’espressione corrucciata che avevi in cucina mentre, a suon di ricette assurde, combattevi contro il mio mal di stomaco e sopportavi anche tutte le smorfie di ingrato disgusto, pur di potermi curare.
Non ti ho detto che ti sentivo tanto vicina la sera, con la testa appoggiata sul mio cuscino mentre il tuo viso si distendeva sereno e sembrava che quello fosse l’unico luogo dove desiderassi riposare.
Non ti ho detto che ti amavo, tutte le volte in cui te lo avrei voluto dire e non ti ho detto neanche che sapevo che hai tenuto duro per starmi accanto anche in quegli anni in cui, lontana da me, avresti avuto poco da perdere e tanto da guadagnare.
Non ti ho detto che so che il tuo amico del cuore bramava il tuo amore,da quando eravate compagni di banco e che avrei voluto urlare tutte le volte che lui riusciva a farti ridere, usando quantità infinite di umoristiche parole.
Non so perché tu sia rimasta qui invece di scappare con lui in quel mondo così rumoroso e musicale.
Ma soprattutto non so perchè tacevo anche quando avrei avuto tanto di sensato da dire.
Eppure tu ci hai provato così spesso a farmi lasciare andare..
Quante cene hai cucinato solo per condirle col mio vino preferito?
Banchetti da re, organizzati ad arte per uno che quella parola in più la concedeva solo quando la lingua si scioglieva un po’ nel tannino.
Quanto mi piaceva sentirti chiacchierare e che profumo aveva la tua pelle aromatizzata dal gran cucinare..
Io lo so perché tu volevi che io liberassi tutte le parole che ho sempre trattenuto nel cuore: lo facevi per me, perché desideravi potessi guarire da questo senso di vuoto prima di rischiare di dovertene andare.
So che non avresti voluto che passassi ciò che adesso mi fa’ spaccare in due dal dolore perché tu non sei più qui, di fianco a me, adesso che sono pronto a parlarti per ore ed ore.
Mi manca da perdere il fiato questa nostra eterna guerra per il sistema di comunicare e regalerei al mondo tutte le frasi senza senso che sono in grado di inventare, pur di poterti dire che il tuo è stato un modo meraviglioso di amare.
Adesso che mi sento così perso ho deciso che ti voglio aiutare e so che è tardi e che non conta quanto conterebbe se tu mi sentissi, mentre faccio ciò che ho sempre avuto il dovere di fare.
So che eri preoccupata per Alessandro, per il suo modo di emularmi e per ciò che anche lui non ha mai cominciato a dire.
Vorrei potessi essere qui accanto mentre finalmente ribalto questo ridicolo iceberg e mostro a nostro figlio tutta l’abbondanza di parole sommerse che sono in grado di pronunciare.
Non voglio che esista donna al mondo che possa vedersi negato quanto questo giovane uomo ha il potere di donare.
Non voglio che continui ad intestardirsi a scegliere me in questa inutile “guerra dei modi” che adesso non mi rende più fiero, ma solo molto spaventato da ciò che manca, ad un maschio così accanitamente virile.
Voglio che tutto ciò per cui hai combattuto almeno attecchisca in lui e voglio che sua moglie possa apprezzare il grande uomo che hai partorito.
Voglio che stasera mi pianga tra le braccia la perdita di una madre che, per lui e per me, ha tanto combattuto.
Voglio che non si senta nel dovere di tutelarmi nel silenzio e trattenere ciò che in futuro lo renderà solo schiavo di un modello sbagliato di forza.
Voglio piangere con lui, raccontandogli di te per tutto il tempo che vorrà rimanere ad ascoltare questa voce così codarda che solo adesso, in mezzo ai fiori che ti ho appena comprato, risuona tra le stanze di una casa ormai vuota.
Io poi domani questi fiori che tutto hanno ascoltato, te li appoggerò vicino a dove dormi ora, sperando che ti rendano la stessa espressione che avevi quando mi rubavi il cuscino.
E tu mi sentirai raccontare ore, per tutti i giorni che mi mancano, prima di poterti di nuovo incontrare.
Allora sì, ti verrò a parlare, in qualunque posto tu sia, ritrovandoti sorridente per la vittoria di potermi finalmente ascoltare.

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